Ai sensi dell’art. 4, l. 9 gennaio 1989, n. 13, l’amministrazione può negare l’autorizzazione per realizzare opere edilizie volte all’abbattimento di barriere architettoniche, in immobili di interesse storico e architettonico, nella sola ipotesi in cui le opere in questione arrechino grave e serio pregiudizio all’intero fabbricato.Lo ha precisato il Consiglio di Stato nella sentenza n. 355/2020. Ha ricordato la Sezione che la speciale disciplina di favore contenuta nella legge 9 gennaio 1989, n. 13 si applica anche a beneficio di persone anziane le quali, pur non essendo portatrici di disabilità vere e proprie, soffrano comunque di disagi fisici e di difficoltà motorie (Cass. civ., sez. II, 28 marzo 2017, n. 7938).

Tale legge infatti, in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, esprime il principio secondo il quale i problemi delle persone affette da una qualche specie invalidità devono essere assunti dall’intera collettività, e in tal senso ha imposto in via generale che nella costruzione di edifici privati e nella ristrutturazione di quelli preesistenti, le barriere architettoniche siano eliminate indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte di persone disabili, trattandosi comunque di garantire diritti fondamentali (Corte cost. 10 maggio 1999, n. 167, e Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334) e non già di accordare diritti personali ed intrasmissibili a titolo di concessione alla persona disabile in quanto tale (cfr. sul punto Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2016, n. 3858).In conseguenza di ciò, per le disposizioni contenute nella testé citata l. n. 13 del 1989 si impone “un’interpretazione estensiva, nel senso appena visto” (Cons. St., sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4824).Va rimarcato inoltre che, in particolare, secondo l’art. 4 della legge stessa, gli interventi volti ad eliminare le barriere architettoniche previsti dall’art. 2 della legge, ovvero quelli volti a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate nel senso descritto, si possono effettuare anche su beni sottoposti a vincolo come beni culturali, e la relativa autorizzazione, come previsto dal comma 4 di tale articolo, “può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato”, precisandosi quindi al comma 5 che “il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l’opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall’interessato”.Si è in tal modo introdotto nell’ordinamento, in ordine ai peculiari valori presidiati dalla legge in esame (tra l’altro non soltanto inerenti all’art. 32 Cost., ma anche di rilievo internazionale, in quanto stabiliti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti per le persone con disabilità adottata dall’Assemblea Generale con risoluzione n. 61/106 del 13 dicembre 2006 e ratificata con l. 3 marzo 2009, n. 18) un onere di motivazione particolarmente intenso, e ciò in quanto l’interesse alla protezione della persona svantaggiata può soccombere di fronte alla tutela del patrimonio artistico, a sua volta promanante dall’art. 9 Cost., soltanto in casi eccezionali (Cons. St., sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4824; id. 7 marzo 2016, n. 705; id. 28 dicembre 2015, n. 5845; id. 12 febbraio 2014, n. 682).

Si allega copia della Sentenza

 

Consiglio-di-Stato_n.355-2020