I giudici del Tar Emilia Romagna, in accoglimento delle motivazioni della proprietaria ricorrente, hanno chiarito, che mentre in precedenza la riedificazione di un rudere era qualificata come nuova costruzione, la legge del 2013 ha allargato il concetto di ristrutturazione all’ipotesi di edificio che non esiste più, ma di cui si rinvengono resti sul territorio e di cui si può ricostruire la consistenza originaria con un’indagine storica/tecnica.

L’accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato deve infatti fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad esempio:

  • documentazione fotografica,
  • aerofotogrammetrie,
  • mappe catastali,

che consentano di delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell’edificio diroccato.

I togati spiegano che l’art. 3 del dpr 380/2001 deve essere letto nel senso che:

il “ripristino” di edifici, per integrare ristrutturazione, richieda l’esistenza almeno di un rudere o comunque di resti attestanti la passata presenza dell’edificio e comportanti un impegno di suolo ancora in essere, a prescindere dalla loro incapacità di rivelare la consistenza originaria dell’immobile, cui sia necessario pervenire attraverso un’indagine storico-tecnica

Nel caso in esame, osservano i giudici, quest’ultimo presupposto è soddisfatto dall’avvenuta ristrutturazione (già compiuta) del fabbricato destinato in passato a stalla-fienile.

In applicazione dei criteri suindicati, il Collegio giudicante ritiene, che la ricorrente abbia prodotto molteplici elementi che (oltre a costituire una chiara testimonianza del fabbricato sul territorio) permettono di individuarne in maniera attendibile l’effettiva originaria consistenza del portico.

Il ricorso è stato, quindi, accolto.

Sentenza Tar Emilia Romagna 138-2021