La Cassazione conferma la condanna per diffamazione per il condomino che ha accusato pubblicamente l’amministratore di una gestione poco chiara dei soldi

Risponde di diffamazione chi accusa senza prove l’amministratore di condominio di una gestione poco chiara dei soldi ovvero di essersi appropriato di liquidità del condominio per esigenze personali. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 11913/2020.

La vicenda

La vicenda ha inizio con la condanna di due condomini da parte del giudice di pace di Fermo e del tribunale in seguito per il reato di cui all’art. 595 c.p. perché, comunicando con altri condomini, avevano offeso la reputazione della società amministratrice condominiale, riferendo che la stessa aveva gestito “male” i soldi del condominio, distraendoli per viaggi all’estero, non pagando le fatture e criticandone anche le capacità professionali.

Gli imputati adivano il Palazzaccio invocando tra l’altro il legittimo esercizio del diritto di critica per la mala gestio dell’amministrazione condominiale.

Reato di diffamazione e scriminante diritto di critica

Per gli Ermellini, però, i ricorsi sono inammissibili, in quanto anzitutto non rispettosi della disciplina in materia di giudizi di impugnazione delle sentenze dei giudici di pace di cui al d.lgs. 11/2018 che consente solamente la possibilità di impugnare i provvedimenti d’appello per vizi di violazioni di legge precludendo, dunque, i vizi di motivazione.

Inammissibile oltre che infondato è altresì il motivo di ricorso circa la configurabilità del reato di diffamazione e la questione della sussistenza della scriminante del diritto di critica./p>

Per i giudici del palazzaccio infatti la sentenza impugnata deve ritenersi corretta, laddove ha ritenuto integrato il reato di cui all’art. 595 c.p., giacchè, le frasi pronunciate alla presenza di più persone, con le quali l’amministratore di un condominio viene tacciato di illecita appropriazione del denaro a lui versato dai condomini al fine di far fronte a debiti personali od impiegarli in viaggi, “in assenza di qualsivoglia elemento attestante la veridicità di quanto affermato, integrano senz’altro il delitto di diffamazione” affermano dalla quinta sezione della Cassazione.

In proposito, i giudici richiamano un precedente (Cass. n. 41661/2012), secondo cui “la scansione del procedimento logico-giuridico da seguire in tema di accertamento della punibilità dell’imputato a titolo di diffamazione implica in primo luogo la valutazione diretta a stabilire se il contenuto della comunicazione rivolta a più persone rechi in sè la portata lesiva della reputazione altrui, che costituisce il proprium del reato contestato e una volta stabilito il concorso degli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, l’attenzione del giudicante può spostarsi sull’apprezzamento della linea difensiva volta a giustificare il fatto sotto il profilo della scriminante di cui all’art. 51 c.p., e quindi sulla verifica di sussistenza dei noti requisiti di verità, interesse alla notizia e continenza”.

Della scansione così descritta ha tenuto conto il giudice d’appello che ha correttamente evidenziato la natura lesiva dell’altrui onore delle espressioni oggetto di contestazione.

Espressioni pregiudizievoli

Se, infatti, il bene giuridico tutelato dalla norma ex art. 595 c.p., ricordano dalla Suprema Corte, “è l’onore, nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (alias reputazione) di ciascun cittadino, e l’evento è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente ad incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino (Sez. 5, n. 5654 del 19/10/2012), le espressioni oggetto di contestazione sono obiettivamente pregiudizievoli della reputazione delle persone offese, concretizzando un pregiudizio la divulgazione di qualità negative, idonee ad intaccarne l’opinione tra il pubblico dei consociati (Sez. 5, n. 43184 del 21/09/2012)”.

Scriminante diritto di critica: i requisiti

L’accertamento della scriminante del diritto di critica richiede, ricorda la S.C, in linea generale, la verifica della sussistenza dei tre requisiti elaborati dalla giurisprudenza di legittimità: “la verità, l’interesse alla notizia e la continenza”.

Per cui, nessuna scriminante può essere invocata nella fattispecie, difettando innanzitutto il primo essenziale requisito, ossia la verità della notizia.

Corretta, pertanto, si presenta la valutazione del giudice d’appello che ha escluso la ricorrenza del legittimo esercizio del diritto di critica da parte degli imputati, ritenendo che “non può ritenersi tale la propaganda di notizie per le quali i ricorrenti, senza averne prova alcuna, avrebbero distratto illecitamente il denaro condominiale per far fronte a propri debiti od impiegandolo in spese personali”.

Da qui l’inammissibilità dei ricorsi e la condanna dei condomini al pagamento delle spese processuali e di 3mila euro in favore della Cassa delle Ammende.

CORTE DI CASSAZIONE